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Archivio di Stato di Modena

Paolo Veronese (Paolo Caliari, 1528-1588)
Ritratto della contessa Livia da Porto Thiene e sua figlia Deidamia
olio su tela, 1552
Baltimora, Walters Art Museum

La contessa incinta, ritratta con la figlia, porta una mantella foderata di lince e uno zibellino con testa d’oro e smalto al braccio. Lo zibellino è un antico simbolo di fertilità, emblema di castità e protezione della vita matrimoniale. In particolare doveva difendere la donna nel momento del parto. Per questo molte donne venivano dipinte con lo zibellino in mano durante la gravidanza.

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Mantelli, zibellini, cappelli e preziosi bottoni: ancora uno sguardo sugli accessori del guardaroba di Lucrezia Borgia d'Este

La settimana scorsa vi abbiamo presentato alcuni accessori appartenuti al guardaroba della duchessa di Ferrara, che troviamo illustrati nel volume “I Tesori di Lucrezia Borgia d’Este. Gli inventari del guardaroba (1502-1504) e delle gioie (1516-1519) nel fondo “Archivio Segreto Estense” dell’Archivio di Stato di Modena", edizione critica a cura di Diane Ghirardo con la collaborazione di Lorenza Iannacci e Francesca Speranza, Modena, Golinelli Editore, 2019Completiamo ora la rassegna con altri interessanti elementi, iniziando da qualcosa che ancora oggi è presente in tutti i nostri armadi, in forme e stili naturalmente diversi da quelli in uso in epoca rinascimentale: i cosiddetti capispalla, indispensabili accessori d'abbigliamento per le stagioni più fredde.

Nell'Inventario del guardaroba di Lucrezia troviamo registrate infatti due dozzine di mantelle, spesso foderate d’ermellino o di altre stoffe preziose. Nel corredo che la duchessa portò con sé da Roma, forse in previsione del clima più rigido che avrebbe trovato nelle nuove terre padane, erano presenti numerosi roboni, tavardi e mantiglie (v. nota 1).

Inventario del guardaroba (1501), cc. 36-47 (pdf)

Il robone, dallo spagnolo robon, era un mantello lungo, spesso fino a terra, con maniche, e foderato di pelliccia di zibellino o ermellino (v. nota 2).
Il tavardo era un tipo di mantello adoperato dalle donne di Catalogna. Diversamente dal robone, invece delle maniche aveva larghe aperture a forma di mandorla sotto le braccia; molto simile al monzile o mongile, tipico del nord Italia all’epoca (v. nota 3).
La mantiglia, o mantilla in spagnolo, alla fine del Quattrocento era lunga, spesso fino ai piedi; ve ne erano di due tipi: una pesante e una più festiva, addobbata di gemme e foderata di ermellino (v. nota 4).

Come già abbiamo visto parlando delle scarpe, possiamo rilevare che, al pari di oggi, anche nel XVI secolo la moda era molto attenta agli elementi di stile provenienti dalle corti di altri Paesi: i termini in uso per definire numerosi capi del guardaroba documentano una forte influenza spagnola, ma nell'Inventario delle gioie troviamo anche alcuni bottoni a la francesca (v. nota 5), mentre nell'Inventario del guardaroba è citata una sbernia o bernia, un tipo di mantella allacciata alla spalla sinistra con una spilla, il cui nome deriva da quello dell'antica provincia romana dell'Ibernia (corrispondente all'attuale Irlanda. v. nota 6), anche se in tal caso è più probabile che il termine sia legato ad una ripresa di stile ispirato all'antica Roma, tendenza che nel Rinascimento si riscontra in vari ambiti culturali.

Per un più approfondito esame di questi elementi, vi invitiamo a leggere il contributo precedentemente pubblicato in questa rubrica: "Roboni alla spagnola" e "gonele listate d'oro" negli Inventari del guardaroba di Lucrezia Borgia d'Este, a cura di Elisabetta Bazzani.

Lo zibellini, che troviamo spesso citato nei documenti in esame, non era utilizzato solo come fodera preziosa, ma era un vero e proprio accessorio in sé. Nell'Inventario delle gioie troviamo infatti registrati (v. nota 7):

[3v]

29. Rubinetti cinque piccoli et slegati per occhi del zebbellino, in uno ingasto di oro, diamanti dua et rubino uno et altri tanti per sé che erano pur in uno ingasto, che tutti erano del fornimento della cofia berretina soprascritta che al presente à consignati Sismondo dalle Anguille. Visti

[11v]

133. Uno zebellino cum la testa di oro battuto cum uno annello in bocca attaccato ad una catena di oro cum lo uncino dall’altro cappo, pesa la cadena cum l’annello et unzino onze una, octavi tri, karati sedece. Visto

[44v]

399. Uno de li anelli de la cadena che dette l’Angella Valla, quelle pesa karati ondexe, fu disfatto per le mano de maestro Alphonso orevexe per aconzare lo ingegno che tene la catena alla testa del zebelino, el quale era rotto, questo dì primo ottobre 1518.

Come spiega la storica Diane Ghirardo (v. nota 8), lo zibellino era considerato un importante ornamento - forse anche una sorta di talismano - per le donne incinte, in quanto simbolo di fertilità. Lo troviamo infatti spesso raffigurato come accessorio nei ritratti femminili, e anche nella ben nota targa votiva in argento che raffigura Lucrezia Borgia d’Este mentre presenta il figlio Ercole a San Maurelio, patrono di Ferrara (Basilica di S. Giorgio, Ferrara, Giovanni Antonio Leli da Foligno, 1514 circa, argento inciso), la duchessa reca sul braccio uno zibellino con testa d’oro.

Non mancavano naturalmente nel corredo numerosi copricapi e cappelli, realizzati in diverse fogge, tessuti e colori. Li troviamo registrati sia nell'Inventario del guardaroba, sia, ed è il caso dei numerosissimi cofioti in seta spesso decorati in oro, o realizzati completamente in maglie e filati d'oro e d'argento, nell'Inventario delle gioie. L’inventario parla anche di alcuni oggetti che Lucrezia apparentemente preferiva tenere, più di altri, a portata di mano. La duchessa aveva infatti decorato un berretto di velluto nero, che indossava spesso, con sedici piccoli triangoli d’oro (v. nota 9).

Inventario del guardaroba (1502)

[123d]

Capielli de seda, videlicet
Capielli quatro de seda peloxi nigri.
Capielli dui de seda carmexina con pello.
Capielli uno de seda biancha con pello.
Capielli uno de seda negra e zalda con pello.
Capieli uno de seda bertina.
Capieli uno de veluto pavonazo con tesiglio d’oro.
Capelli uno de seda carmexina fassato con due toche, una de tafeta pavonazo et altra con horo. (Capeli uno de seda pavonaza et oro filato. El dito capelo se dete per comissione de la signora a don Anricho.)
Capeli uno de veluto negro, como uno cordo con oro e con quatro fiochi.
Capeli uno de lanna franzoxo fodrato de tafeta dentro.

Inventario delle gioie (1516-1519), cc. 23-24 (pdf)

Molti di questi preziosissimi accessori, come l'Inventario registra puntualmente, erano spesso fatti oggetto di dono dalla duchessa alle sue dame di corte (v. nota 10):

[22v]

330. El contrascripto scofioto a n. 330 donò la signora alla Laura Rola [forse la moglie di Michele Rolla, spagnolo stipendiato dalla duchessa come guardarobiero] a dì ultimo dexembre 1517.
334. El contrascripto cofioto a n. 334 ha donato la signora a madonna Gratiosa de Pii in Belriguardo.
335. El contrascripto cofioto a n. 335 donò la signora alla Lucretia da Castello a dì ultimo dexembre 1517.
336. El contrascripto scofioto a n. 336 ha donato a la Demitria balarina.
339. El contrascripto cofioto a n. 339 donò la signora alla Lucretia Rizola a dì ultimo dexembre 1517.
342. El contrascripto cofioto a n. 342 donò la signora alla Isabella da Castello a dì ultimo dexembre 1517.

Anche i bottoni non avevano soltanto una funzione pratica, ma arricchivano abiti e accessori, così come i numerosi altri elementi decorativi preziosi, di varie fogge e tipologie, che troviamo registrati nell'Inventario delle gioie, che ne riporta sempre con precisione anche il peso e la caratura.
I bottoni in oro sono spesso smaltati in vari colori: ne troviamo a forma di stella, di foglia, di rose o rosette. A volte potevano essere rifoggiati in nuove forme o per nuovi usi, e anch'essi, per il loro valore, potevano essere oggetto di doni, perfino al Re di Francia, come leggiamo nelle minuziose note apportate all'Inventario (v. nota 11):

[40r]
seguita A dì 28 de marzo 1517
143. Delli 8 botoncini a n. 143, cinque ne son posti a camise del signore ducha et dui ne son disfatti per le mano de maestro Alphonso orevexe, insieme cum altro oro per fare botoncini de un’altra sorte, questi soprascripti cinque bottoncini sono ritornati in capsa a dì 18 de agosto 1517 per mano de la Lucretia.
198. Li quatro pezzi d’oro posti a n. 198 sono disfatti per fare li soprascripti botoncini.
390. Pontali tri lissi et uno ritorto cum dui pezeti de trena furno desfati per fare li soprascripti botoncini questo dì primo aprille, le quale tute robe disfate pexorno 4/8 karati 6, e furno botoncini diece. Cinque de questi botoncini novii have la signora questo dì 3 luio per una camisa del ducha.

[44v]

425, 426. La bottosella novamente fatta per maestro Alfonso, et gli sei bottoni fatti per lui et per maestro Hercule suo patre, a n. 425 et 426 in questo a c. 26, cum la catena et cinque bottoselle, como in questo a n. 78 c. 8, furno mandate per il signore don Iovanni Borgia a donare alla maestà del re de Franza piena de compositione, questo dì 16 november 1518.

Quanti di questi preziosissimi bottoni potevano essere presenti in un abito era, fra le altre cose, uno degli elementi normati dalle leggi suntuarie, che, in alcuni periodi storici, miravano a controllare l'ostentazione del lusso da parte di determinate classi sociali.

Quasi tutte le normative regolamentavano l’uso, la quantità e la qualità dei bottoni: così fu in quella di Parma del 1316, in quella di Modena del 1327, in quella di Imola del 1334 o in quella di Forlì del 1359. Li si poteva portare solo come sistema di chiusura di una veste in numero massimo stabilito in 25 al collo o al petto secondo gli statuti di Forlì e, se preziosi, di peso limitato. Evidentemente proprio i bottoni erano stati individuati come possibile strumento per aggirare le limitazioni ai decori degli abiti e di fatto ornavano riccamente le vesti sia maschili sia femminili. Sappiamo infatti di bottoni di ambra e di pietre preziose, di vesti percorse longitudinalmente da fitte file di bottoni e di maniche ornate da bottoni per tutta la loro lunghezza (v. nota 12).

Tali norme non si applicavano alla famiglia ducale estense, e dagli Inventari è evidente, come osserva Ghirardo, che il ricco corredo di Lucrezia era enormemente più grande di quello delle altre donne ferraresi. I corredi delle donne della classe artigiana o delle classi inferiori, consistevano in tre o quattro camicie nuove, alcune vecchie, due o tre gonnelle, una o due mantelle e vari oggetti per la cucina e per la camera da letto. Le leggi suntuarie per l’aristocrazia ponevano dei limiti severi alle donne. Le invitavano ad evitare alcune tipologie di abiti, tessuti e gioielli in pubblico. Le leggi negavano alle prostitute il diritto di portare perle in pubblico e le costringevano a indossare un velo giallo sulle spalle, per distinguerle dalle donne oneste. In origine queste leggi miravano a tutelare le prerogative specifiche dell’aristocrazia, con il tempo però cominciarono ad interessare anche la nobiltà, sebbene l’applicazione della regola fosse meno rigida. Oltre lo status, il vestiario poteva anche segnalare la modestia di una donna. Lucrezia introdusse a Ferrara, per sé e per le sue damigelle, la moda catalana di portare un collarino per coprire il collo, un modo di acconciarsi ben più dimesso rispetto all’uso della scollatura tipica della moda femminile ferrarese (v. nota 13).

Auspicando di avervi intrattenuto piacevolmente pur trattando temi complessi, ricordiamo, come già detto, che il nostro intento è offrire pillole e brevi assaggi del contenuto di un volume del tutto peculiare, costituito da varie parti: una rigorosa edizione critica di documenti conservati nell’Archivio di Stato di Modena, una disamina storica sul tema dei gioielli, acconciature e mode rinascimentali, un ricco apparato di immagini a colori di oggetti museali d’epoca o tratte da opere pittoriche del periodo indispensabili per apprezzare meglio il tema trattato.

Per una completa lettura, il libro è acquistabile contattando Lapam Confartigianato Modena - Reggio Emilia:
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Note

1:  Diane Ghirardo, I Tesori di Lucrezia Borgia d’Este, p. XXXI
2:  Inventario del guardaroba (1502) nota 24 p. 14
3:  Inventario del guardaroba (1502) nota 25 p. 15
4:  Inventario del guardaroba (1502) nota 31 p. 16
5:  Inventario delle gioie (1516-1519), c. 11v n. 138
6:  Inventario del guardaroba (1502) nota 35 p. 17
7:  Inventario delle gioie (1516-1519), c. 3v n. 29; c. 11v n. 133; c. 44v n. 399
8:  Diane Ghirardo, I Tesori di Lucrezia Borgia d’Este, p. XLVII
9:  Diane Ghirardo, I Tesori di Lucrezia Borgia d’Este, p. LVI
10:  Inventario delle gioie (1516-1519), c. 22v nn.
11:  Inventario delle gioie (1516-1519), c. 40r; 44v
12:  Maria Giuseppina Muzzarelli, A norma di legge. La disciplina suntuaria dal XIII al XV secolo, p. 133
13:  Diane Ghirardo, I Tesori di Lucrezia Borgia d’Este, pp. XXXIII-IV

Riferimenti bibliografici

Le notizie e i brani della trascrizione dei due inventari sono estratti dal volume:
I Tesori di Lucrezia Borgia d’Este. Gli inventari del guardaroba (1502-1504) e delle gioie (1516-1519) nel fondo “Archivio Segreto Estense” dell’Archivio di Stato di Modena, edizione critica a cura di Diane Ghirardo, con la collaborazione di Lorenza Iannacci e Francesca Speranza, prefazioni di Anna Maria Buzzi e Patrizia Cremonini, Golinelli Editore 2019. 

Della vasta bibliografia prodotta su Lucrezia Borgia ci limitiamo qui a segnalare alcuni note e fondamentali opere legate all'argomento della rubrica:

Tamalio Raffaele, “Lucrezia Borgia, duchessa di Ferrara”, in Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 66, 2006 (link)

La letteratura sulle leggi suntuarie è estremamente vasta, tra gli studi più recenti si vedano:

EAD., Guardaroba medioevale. Vesti e società dal XIII al XVI secolo, Bologna, Il Mulino, 2008.

Frick Carole Collier, Dressing Renaissance Florence: Families, Fortunes and Fine Clothing, Baltimore, Johns Hopkins University Press, 2002.

Hollingsworth Mary, The Cardinal’s Hat: Money, Ambition, and Everyday Life in the Court of a Borgia Prince, Woodstock, Overlook Press, 2005.

Killerby Catherine Kovesi, Sumptuary Law in Italy: 1200-1500, Oxford, Oxford University Press, 2002.

Muzzarelli Maria Giuseppina, Gli inganni delle apparenze: Disciplina di vesti e ornamenti alla fine del Medioevo, Torino, Scriptorium, 1996 (link)

Muzzarelli Maria Giuseppina e Campanini Antonella, Disciplinare il lusso. La legislazione suntuaria in Italia e in Europa tra Medioevo ed Età Moderna, Roma, Carocci, 2003.

Rublack Ulinka, Dressing Up: Cultural Identity in Renaissance Europe, Oxford, Oxford University Press, 201



Ultimo aggiornamento: 28/09/2023